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Categoria: Colture erbacee

Effetti dello stress termico nel mais

L’effetto nocivo delle temperature elevate (ipertermia) sulle piante  è strettamente legato con altri fattori ambientali come la luce, l’umidità atmosferica e la disponibilità di acqua nel suolo. Si tratta di un’interdipendenza molto stretta ed è molto difficoltoso distinguere gli effetti dei singoli fattori sulla pianta.  E’ evidente, ad esempio, che l’innalzamento della temperatura  potrà provocare risposte delle foglie sensibilmente differenti in funzione dell’umidità atmosferica. Sarà inoltre determinante la possibilità della pianta di poter compensare l’aumento di traspirazione con l’assorbimento radicale, correlando quindi gli effetti dello stress termico con il  contenuto di umidità nel suolo.

I danni dello stress termico

I danni da ipertermia sui vegetali possono essere distinti in:

  • Danni secondari: quando dipendono sostanzialmente dal manifestarsi dello stress idrico;
  • Danni primari indiretti: si manifestano in genere in seguito ad una esposizione continua e a lungo prolungata di temperature moderatamente elevate;
  • Danni primari diretti: sono quelli che avvengono in conseguenza di shock termici di breve durata, a temperature più elevate.

L’aumento delle temperature, oltre i limiti fisiologici delle piante, può rallentare o bloccare la crescita  dei vegetali con conseguenti danni alla produttività, senza che apparente si manifestino sintomi visibili.  In questa fase il ripristino di condizioni ambientali più favorevoli possono ancora limitare i danni economici alla coltura.

L’innalzamento termico può anche arrivare a causare un blocco irreversibile nella crescita qualora giunga a provocare danni metabolici irreversibili. Il processo fotosintetico, in particolare, è particolarmente sensibile alle alte temperature, potendosi bloccare a livelli termici parecchio più bassi di quelli che provocano l’arresto del processo respiratorio. Di conseguenza anche quando i valori termici  provocano l’arresto della fotosintesi,  il processo respiratorio può comunque continuare con consumo delle riserve sino all’esaurimento.

Sono stati osservati anche effetti rilevanti dello stress termico sulla quantità e la qualità delle proteine. Le temperature elevate possono interferire  con il metabolismo proteico giungendo, in casi estremi, alla denaturazione delle stesse o alla coagulazione. Effetti negativi si possono avere anche sui lipidi che compongono le membrane delle cellule e di altre strutture cellulari come i mitocondri e i cloroplasti, organuli che sono rispettivamente sede dei processi respiratori e fotosintetici.

La capacità delle piante di rispondere all’innalzamento termico con meccanismi di termoregolazione è piuttosto limitata e la regolazione della temperatura è sostanzialmente dovuto all’effetto raffreddante della traspirazione. La temperatura delle piante dipende pertanto essenzialmente dall’ambiente nelle sue due componenti: aria e terreno. Si può qui citare, a titolo di esempio, uno studio condotto da Edgington e Walker (1957) sulle fluttuazioni giornaliere della temperatura interna di piante di pomodoro in relazione all’intensità di traspirazione. Si è visto che l’aumento della traspirazione, massima nelle ore diurne, coincide con una diminuzione della temperatura interna della pianta per effetto del raffreddamento esercitato dal flusso idrico  alla temperatura del terreno. Si sono osservate differenze di temperatura di 10°C e più tra le temperature interne di fusti di piante vive e morte in piena insolazione.

Il mais

Nel mais la temperatura ottimale è compresa tra i 24° ed i 30°C  in funzione della disponibilità idrica e dello stadio vegetativo della pianta. I valori massimi sono richiesti in corrispondenza della fioritura – allegagione (Giardini A.,  1989).

Fioritura – impollinazione

La fase di fioritura – impollinazione è quella in cui lo stress termico può maggiormente compromettere le future rese della coltura. Le alte temperature spesso si accompagnano allo stress idrico, tanto che non è sempre facile separarne i singoli effetti. Si può comunque affermare che qualora nel terreno sia presente una adeguata umidità, le alte  temperature di per sé non mettano a dura prova l’impollinazione.

La fioritura femminile

Le sete che emergono dalla spiga sono, come è noto, gli stigmi dei fiori femminili. Ogni seta è collegata a un singolo ovulo, cioè ad una potenziale cariosside. Le sete iniziano a svilupparsi 10-14 giorni prima che si rendano visibili emergendo dalle brattee che avvolgono la spiga. L’allungamento delle sete inizia da prima  dagli ovuli basali delle spiga, quindi procede progressivamente verso l’apice.

 Una volta emerse continuano ad accrescersi piuttosto velocemente per 1-2 giorni, per poi rallentare progressivamente nei giorni successivi. Comunque il loro allungamento si interrompe poco dopo che un granulo di polline si deposita su di esse germinando. Se non impollinate, l’accrescimento delle sete si interromperebbe una decina di giorni successivamente all’emergenza; sete insolitamente lunghe possono essere, infatti, un indicatore di una cattiva impollinazione della spiga.

Lo sviluppo delle sete solitamente avviene in sincronia con il rilascio del polline, agevolando così l’impollinazione. Le condizioni di stress possono interferire con questa sincronia. La siccità in questa delicata fase è il più pericoloso fattore di stress, soprattutto quando è accompagnata da alte temperature e bassa umidità atmosferica. Le sete hanno un elevato contenuto in acqua, maggiore di un qualsiasi altro tessuto vegetale. Sono quindi molto sensibili alle variazioni di umidità nella pianta e quindi alla siccità. Questa può ostacolare o rallentare il loro allungamento ritardandone la fuoriuscita oppure, nelle peggiori condizioni ambientali, impedendola. Si avrà quindi  una cattiva impollinazione delle spighe qualora il rilascio del polline è ormai finito o è insufficiente.

Nelle  condizioni di stress termico e idrico con bassa umidità atmosferica le sete possono facilmente essiccare, perdendo la recettività al polline.

Alcuni ibridi selezionati per la tolleranza alla siccità, avendo una crescita delle sete più veloce in condizioni di stress idrico, consentono di prevenire questo problema. Tuttavia non mancano le “controindicazioni”. In condizioni ottimali di sviluppo delle sete, questa maggiore rapidità di sviluppo può anticipare di 4-5 giorni la loro comparsa, anticipando sensibilmente il rilascio del polline, riproponendo i problemi di mancata allegagione.

La fioritura maschile

Anche il rilascio del polline (antesi) e la sua vitalità, quindi la sua capacità fecondante, possono essere seriamente compromessi dalle elevate temperature unite alla siccità.

Il polline viene rilasciato per lo più dalla prima mattinata fino a metà di essa, quando la temperatura è ancora relativamente bassa. Un secondo rilascio può talvolta avvenire nel tardo pomeriggio con temperature più fresche.  Umidità e temperature sono due fattori chiave durante la deiscenza.  E’ stata osservata una riduzione della dispersione del polline quando le temperature superano i 30°C. I granuli di polline rimangono vitali per 18 – 24 ore in condizioni favorevoli, mentre la loro vitalità si riduce a un paio d’ore in condizioni di caldo estremo. Temperature superiori a 37°C  causano un forte stress al polline che può disseccare ancor  prima di fecondare l’ovulo. Le alte temperature possono  anche ridurre la vitalità del polline prima che venga rilasciato dalle antere.

Accrescimento delle cariossidi

Abbiamo ricordato più sopra come le elevate temperature diurne possano causare una riduzione della capacità fotosintetica. Questo aspetto, presente anche nel mais, determina una riduzione della produzione di zuccheri destinata a ripercuotersi sulla produzione finale del mais. Qualora le temperature elevate persistano durante la notte il danno produttivo si aggrava. In queste condizioni nelle ore notturne l’attività respiratoria si mantiene elevata con conseguente consumo di zuccheri. Temperature più basse di notte in genere favoriscono anche la traslocazione dei carboidrati verso gli organi di riserva (cariossidi).

Successivamente alla fecondazione, condizioni di siccità o stress termico possono provocare l’aborto degli ovuli fecondati. I chicchi abortiti hanno piccole dimensioni, spesso di colore biancastro.  Le cariossidi sono maggiormente suscettibili a questo danno nelle due settimane successive alla fecondazione, in particolare lo sono quelle prossime alla punta della spiga. Va comunque ricordato che l’aborto delle cariossidi può anche essere provocato da qualsiasi fenomeno che limiti l’attività fotosintetica, quindi la disponibilità di fotosintetati, durante o subito dopo la fecondazione. Oltre gli stress da calore e da siccità, possono essere chiamati in causa, quali responsabili del danno, le carenze nutrizionali (soprattutto azoto), le  perdite del tessuto fogliare dovute a patogeni o a grandine ecc.

Stress idrici e termici possono portare ad una prematura morte della pianta con precoce arresto dello sviluppo delle cariossidi.

Le perdite di resa, approssimativamente calcolate, conseguenti alla prematura morte delle foglie, ma non degli steli, si stimano essere:

  • 36%, quando la morte si verifica allo stadio R4 (maturazione cerosa),
  • 31%, allo stadio R5 (formazione del dente nella cariosside),
  • 7%, a metà della linea del latte dello sviluppo della cariosside.

Bibliografia

Goidànich G. (1983): Manuale di patologia vegetale, volume primo. Edizioni Agricole Bologna.

Matta A., Pennazio S. (1984) Elementi di fisiopatologia vegetale, Pitagora editrice Bologna.

Baldoni R., Giardini L. (1989): Coltivazioni erbacee. Patron Editore Bologna.

Fonti web consultate il 23-07-2022 :

https://www.specialtyhybrids.com/en-us/agronomy-library/high-temperature-effects-on-corn-pollinations.html

http://www.kingcorn.org/news/timeless/Silks.html http://www.kingcorn.org/news/timeless/GrainFillStress.html

Le sommatorie termiche nel mais

La lunghezza del ciclo fisiologico di un ibrido di mais viene espresso come numero di giorni, il tempo medio che intercorre tra l’emergenza e la maturazione fisiologica. Si tratta, come è ben noto, di un valore indicativo che può variare,  allungandosi nelle annate e negli areali più freschi oppure,  all’opposto,  riducendosi con l’aumentare delle temperature.

Uno dei fattori determinanti nello sviluppo delle piante, quindi anche del mais, è la temperatura atmosferica. Questo parametro, in assenza di fattori limitanti come la disponibilità di acqua ed elementi nutritivi, attacchi parassitari ecc., consente di mappare la lunghezza delle diverse fasi fenologiche del mais e in definitiva della durata del ciclo fisiologico di un ibrido; in pratica il suo profilo fisiologico. Per poter fare ciò è necessario introdurre il concetto di sommatoria termica giornaliera.


La temperatura e le piante

Diversamente da quanto accade in alcuni animali, le piante non sono in grado di riscaldare i propri tessuti con la respirazione, se non in misura minima. Possiedono un’ampia superficie disperdente, data s dall’ampio sviluppo fogliare, che permette loro di mettersi in equilibrio termico con l’ambiente. 

L’effetto della temperatura ambientale sulle piante è notevole, dipendendo da essa tutti i processi connessi al loro sviluppo. Essa influenza direttamente l’intensità di varie funzioni (germinazione, fotosintesi, assorbimento radicale ecc.). Sostanzialmente la temperatura agisce attraverso l’attivazione dei vari processi enzimatici coinvolti nelle citate attività biochimiche.

Sono altresì influenzati dalla temperatura diversi processi microbiologici del suolo, come ad es. l’umificazione e la nitrificazione, di primaria importanza nel sistema suolo-pianta, ma di non stretta pertinenza con l’argomento di questa nota tecnica.

Ritornando al ruolo della temperatura nello sviluppo della pianta introduciamo i concetti di temperatura di base e temperatura ottimale.  

La temperatura di base è quella al disotto della quale non si ha sviluppo della pianta. Può variare a seconda delle specie vegetali e , nell’ambito della stesse specie, non è costante, variando durante il ciclo di sviluppo della pianta (la temperatura di base per la germinazione non è uguale a quella per la fioritura o la maturazione)

Definiamo temperatura ottimale quella in corrispondenza della quale una determinata funzione vitale si svolge con la massima velocità.

La “forchetta termica” entro la quale avviene si raggiunge una determinata fase fenologica, es. la fioritura, sarà quindi compresa tra la temperatura di base e la temperatura ottimale.  Il tempo che una pianta impiega per raggiungere un determinato stadio fenologico -nel nostro esempio la fioritura – dipende dall’energia che la pianta progressivamente accumula nel tempo. In altri termini dipenderà dalla temperatura ambientale, essendo questa strettamente legata all’energia assorbita.

In termini di crescita della pianta, lo sviluppo raggiunto in condizioni di 20° per un periodo di 10 giorni è pari a quello di 20 giorni a 10°C; in entrambe i casi la pianta avrà accumulato 200°C.


 Gradi giorno di crescita o GDD (Growig Degrees Day)

Una volta che arriviamo a padroneggiare questo concetto possiamo facilmente capire come sia più conveniente esprimere la lunghezza del ciclo fisiologico di una pianta, ad es. il mais, non in giorni, ma in un tempo necessario per accumulare il quantitativo di calore (quindi di temperatura) necessario per completare il ciclo fisiologico o una qualsiasi altra fase fenologica, come la fioritura.

Anziché i giorni risulta più corretto esprimere la durata del ciclo fisiologico in un tempo termico o sommatoria termica, dovrebbe esprimere il quantitativo di calore accumulato dalla coltura in determinato periodo.  L’unità di misura per arrivare a calcolare la sommatoria termica sono i gradi giorno (°Cd).

Esistono svariati algoritmi per il calcolo dei gradi giorno; quello più comunemente utilizzato fa ricorso ai gradi giorno di crescita o GDD ( Growing Degrees Day) calcolati a partire dalla temperatura massima e minima giornaliera dell’aria e dalla temperatura di base del mais (10°C) secondo la seguente formula:

(1) GDC = ((T massima giornaliera + T minima giornaliera) /2 )- 10°C 

Le temperature cardinali, minima o massima, sono quelle al di sotto o al di sopra delle quali una funzione vitale della pianta si arresta.

Per eliminare l’effetto di temperature basse o alte che impediscono o ritardano la crescita del mais vengono utilizzati  vincoli sulle temperature massime e minime.

  • Quando la temperatura massima dell’aria è maggiore di 30° C poiché il tasso di crescita non aumenta oltre tale temperatura si imposta il valore di 30°C nell’equazione (1);
  • Analogamente quando la temperatura minima dell’aria è < 10°C, si imposta tale valore nell’equazione.

Esempi:

  • T max 26°C e T min 12; l’accumulo di GDD per il giorno sarebbe ((26+12)/2)- 10 =  9 GDD
  • T max 32°C e T min 22; l’accumulo di GDD per il giorno sarebbe ((30+22)/2)- 10 =  16 GDD
  • T max 20°C e T min 5; l’accumulo di GDD per il giorno sarebbe ((20+10)/2)- 10 =  5 GDD

Danni da freddo su mais nelle fasi iniziali del ciclo colturale

I danni da basse temperature su mais nella  fase iniziale di crescita dipendono sostanzialmente da:

  • stadio di sviluppo della coltura
  • temperatura dell’aria
  • umidità del suolo
  • tessitura del terreno.
Foto:AngeloSarti

In caso di abbassamento termico probabilmente non si avranno danni significativi se il punto di crescita si trova al disotto della superficie del suolo o se la temperatura non è scesa oltre  -2°C.

Tecnicamente il punto di crescita è costituito da un meristama, un tessuto in cui le cellule hanno la capacità di moltiplicarsi e di differenziare tessuti vegetali. Una volta che la cariosside è germinata, il meristema apicale del germoglio inizi a differenziare i primordi di tutte le foglie della pianta, eccetto le prime 4-5 foglie della giovane pianta, che si sono formate al momento dello sviluppo dell’embrione nella cariosside, quindi nella stagione precedente alla germinazione.

Dove è posizionato nella giovane pianta il punto di crescita (Growing point)

Temperature inferiori a -2°C possono congelare le piantine provocando, entro le 24 ore, i tipici sintomi da congelamento (ingiallimenti, appassimento delle piante ecc.).

Si può avere anche imbrunimento del fusticino, ma se il punto di crescita non viene danneggiato vi sono buone possibilità che la pianta possa sopravvivere e riprendersi.

Il punto di crescita – detto anche  punto vegetativo –  si trova al disotto della superficie del suolo  fino allo stadio di crescita V5 (pianta con 5 foglie completamente sviluppate) nella maggior parte degli ibridi. Ciò contribuisce a proteggerlo dal gelo. Tuttavia  valori termici  inferiori a -2°C per alcune ore possono arrivare a danneggiarlo causando danni irreversibili.

Consistenza solida e colore bianco o crema stanno a indicare che il punto di crescita non ha subito danni e che la pianta è viva e con capacità di ripresa.  All’opposto, un punto di crescita di consistenza morbida e imbrunito risulterà sicuramente danneggiato irreversibilmente, con conseguente morte della pianta.

In questo caso la plantuala è stata danneggiata dalle basse temperature anche se il coleoptile si trovava ancora sotto la superficie del terreno – Foto: Angelo Sarti

Valutazione del danno

In condizioni climatiche favorevoli, entro 3-5 giorni dalla gelata la comparsa una nuova foglia segna l’avvio della ripresa dello sviluppo della pianta. Può accadere occasionalmente che le vecchie foglie morte ostacolino l’emergenza della nuova vegetazione  conferendo alla piantina un aspetto contorto.

Trascorsi  3-5 giorni dalla gelata sarà quindi possibile, tramite scouting sul campo, valutare con maggiore precisione l’entità del danno. Le piante sopravvissute dovrebbero  iniziare a produrre nuove foglie, consentendo all’agricoltore di stimare con maggior precisione le perdite.

Un clima caldo e asciutto favorisce il recupero, mentre  giornate umide e fresche possono agire  negativamente.

Un altro fattore che può condizionare la capacità di recupero delle piante dopo il calo termico è rappresentato dallo stato di salute delle stesse prima del verificarsi dell’evento. Danni da erbicidi, attacchi di parassiti, umidità eccessiva del suolo ed altri fattori di stress per la pianta possono penalizzarne la capacità di risposta e ripresa dopo il danno da freddo.

Il tasso di sopravvivenza  e l’uniformità del campo potranno fornire indicazioni sul potenziale rendimento della coltura, consentendo di valutare anche una possibile risemina.

Frumento; lo stadio “spiga 1 cm”

La fase di accestimento, iniziata tipicamente allo stadio di “3° foglia”, termina con il “viraggio”. Questo segna il passaggio dalla fase vegetativa a quella riproduttiva.  In seguito alle modifiche anatomiche a carico degli apici vegetativi, iniziano a svilupparsi gli abbozzi delle future spighe e dei futuri fiori. Il passaggio dalla fase vegetativa a quella riproduttiva è condizionato dalle basse temperature (vernalizzazione) e dalla lunghezza del periodo di luce della giornata (fotoperiodo).  Nel frumento frequentemente (varietà non alternative), ma non necessariamente (varietà alternative), si  passa alla fase di viraggio solo dopo che la pianta ha subito un certo numero di ore a basse temperature (in genere comprese tra 0 e 6°C). Al viraggio sezionando longitudinalmente la piantina è chiaramente visibile al microscopio l’apice con abbozzi di spighette in forma di doppio anello (double ring).

In campo questo passaggio si rende visibile a inizio allungamento degli steli (inizio levata), quando sezionando il fusticino longitudinalmente con una lama affilata è chiaramente riconoscibile l’abbozzo della spiga.  La distanza tra l’apice della spiga e il piano di accestimento (la base della pianta) è di circa 1 cm, da cui il nome di stadiospiga a 1 cm”.  In questa fase il primo internodo, che inizia ad allungarsi, è minore di 1 cm.

Si ricorda che il piano di accestimento è un ingrossamento che si forma ad una profondità di 2-3 cm alla fase di 3-4 foglie (inizio accestimento). Da questa struttura prenderanno origine le radici avventizie e culmi di accestimento.

Nella pratica possiamo considerare che la coltura è nello stadio di “spiga 1 cm” se almeno la metà delle piante dell’appezzamento hanno raggiunto questo stadio. Per verificare ciò può essere sufficiente effettuare il campionamento su 20 piante rappresentative dell’appezzamento. Con il raggiungimento dello stadio “spiga 1 cm” inizia lo stadio di “levata”.

Grano saraceno: prove di coltivazione in Emilia-Romagna

Il grano saraceno (Fagopyrum esculentum Moench) è una pianta erbacea annuale appartenente  alla famiglia delle Poligonacee con strette analogie con i cereali, tanto che comunemente viene considerato un pseudocereale.

Campo sperimentale di grano saraceno

A livello mondiale Cina e Russia sono i maggiori produttori di grano saraceno. In Italia la coltivazione,  un tempo  diffusa nell’arco alpino (Valtellina e Alto Adige in particolare) e nell’Appennino Settentrionale e Centrale, a partire dagli anni ’50  ha subito una progressiva contrazione,  concentrandosi in Valtellina e Alto Adige. Paradossalmente è invece in crescita l’interesse verso questa coltura.

Proprietà nutrizionali

Le ragioni del rinato interesse verso questa coltura vanno ricercate principalmente nel recupero di piatti locali tradizionali (es. pizzoccheri, polenta taragna) e nelle eccezionali caratteristiche nutrizionali e funzionali delle sue farine, superiori per alcuni aspetti  a quelle dello stesso frumento (elevato valore biologico delle proteine, basso indice glicemico, assenza di glutine, elevato contenuto in lisina, ecc.).

Nella granella sono inoltre  presenti numerosi componenti bioattivi, tra i quali spicca la rutina o rutoside, un flavonoide glicosilato dotato di numerose proprietà salutistiche (antiossidante, antinfiammatoria, ipotensiva, antilipoperossidante, ecc.). Tuttavia i prodotti alimentari derivati dal grano saraceno possiedono un contenuto in rutina basso o trascurabile per cui non possono essere considerati alimenti funzionali (Functional Food). Il flavonoide viene infatti in gran parte perduto durante i processi di preparazione dell’alimento. Attualmente sono in corso ricerche indirizzate  a individuare  processi di preparazione dell’alimento capaci di contenere queste perdite.

Il contenuto in rutina nella granella varia in funzione delle varietà (indicativamente oscilla entro valori di 8 – 24 mg/100g di granella t.q)   e degli ambienti di coltivazione ( è maggiore nelle produzioni di montagna).  Una seconda specie di grano saraceno, il  Fagopyrum tataricum, possiede un contenuto in rutina fino a 200 volte superiore a Fagopyrum esculentum . ed è  quindi di maggiore interesse ai fini della preparazione di Functional Food.

Fiori di grano saraceno

Attività sperimentale

Nel biennio 2014-2015 in qualità di tecnico sperimentatore presso  ASTRA Innovazione e Sviluppo – unità operativa  Mario Neri di Imola (BO) ho seguito un progetto volto a valutare il comportamento agronomico di varietà di grano saraceno nell’areale di pianura emiliano-romagnolo. L’attività è stata condotta in collaborazione con la Cooperativa Agricola Cesenate (CAC) di Martorano di Cesena (FC)  ed ENEA – Centro Ricerche Trisaia (MT)

Il progetto era coordinato dal Centro ricerche produzioni vegetali (CRPV) di Cesena (FC) con il finanziato dalla Regione Emilia-Romagna (Progetto Cereal.Pro.Ve.).

Nel 2015 sono state testate 6 varietà (Botan, Darja, Koban, Koto e Manor e Lileja), adottando un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con 3 repliche, seminando in 3 differenti epoche.

Nel 2015 sono entrate in prova solo le varietà maggiormente promettenti sulla base dei risultati del 2014 (Koban, Koto, Manor) assieme a Lileja (varietà testimone)

 

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