Un taccuino agricolo per condividre conoscenze agronomiche

Categoria: Fitoiatria

Lo zolfo in fitoiatria

Lo zolfo è sicuramente uno dei più antichi prodotti antirittogamici utilizzati in agricoltura. La sua affermazione risale a metà Ottocento, quando se ne dimostrarono le doti fungicide nei confronti dell’Oidio della vite. Un giardiniere inglese, E. Tucker, nel 1845 osservò strane macchie sulle foglie delle viti allevate in serra a Margate, presso la foce del Tamigi. L’attento giardiniere inviò un campione di foglie ricoperte dalla misteriosa polvere biancasta a Miles Joseph Berkley, un reverendo che si occupava con profitto di micologia (gli si attribuisce la classificazione di circa 6000 specie fungine), considerato uno dei fondatori della moderna patologia vegetale. L’attento studioso non faticò a identificare come responsabile di quella manifestazione un fungo che denominò Oidium tuckeri, in onore dell’omonimo giardiniere. Nel frattempo era già iniziata la disastrosa avanzata dell’Oidio. La malattia pochi anni dopo si diffuse in Francia, per poi arrivare anche in Italia nel 1850. Alla ricerca di un rimedio per combattere il fungo, nel 1860 un altro girdiniere inglese, Kyle, si accorse che i trattamenti con lo zolfo avevano la capacità di ostacolarne lo sviluppo. I forti pegiudi sorti attorno allo zolfo ostacoleranno però per diversi anni l’impiego di questo prodotto in agricoltura. Più tardi l’utilizzo si diffonderà anche in frutticoltura, orticoltura e floricoltura , nella lotta alle Erisifacee (Oidi).

Oggi sappiamo che oltre che nei confronti dei funghi responsabili dell’Oidio o “mal bianco”,

Di Maccheek at English Wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=971184
Oidio su grappolo
Di Maccheek at English Wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=971184
Erinosi su vite

lo zolfo è in grado di svolgere un’efficace azione di contenimento nei confronti di diversi acari eriofidi, come l’Eriophyes vitis (Erinosi della vite, vedi foto) e Calipetrimerus vitis (Acariosi della vite)

Altre malattie fungine nei confronti delle quali viene riconosciuta un’azione collaterale dello zolfo sono:

  • Escoriosi (Phomopsis viticola)
  • Ticchiolatura del melo (Venturia inaequalis)
  • Nerume delle drupacee (Cladosporium carpophilum)
  • Patina bianca del melo (Thialopsis spp.)
  • Black rot (Guignardia bidwelli)

Meccanismi d’azione Sin dalla sua introduzione sono state avanzate diverse ipotesi sui possibili meccanismi d’azione dello zolfo. Attualmente si ritiene che agisca allo stato di vapore rompendo parete e membrana cellulare dei funghi attraverso una azione liposolvente e disidratante. A livello della catena respiratoria entra in competizione con l’ossigeno, impedendo la formazione di ATP, con perdita di energia a livello cellulare. Agendo a livello cellulare su più bersagli (azione multisito) non crea problemi di resistenza. Sappiamo che la sua azione fungicida dipende dalla temperatura, dall’umidità relativa dell’aria e dal grado di finezza delle particelle. Per esplicare la sua azione biologica deve infatti passare dallo stato solido a quello di vapore. Questo passaggio di stato è ostacolato dalle basse temperature e dall’elevata umidità, con conseguente riduzione d’efficacia fungicida. Gli zolfi più fini iniziano ad essere attivi intorno ai 10-12°C, mentre i formulati con particelle più grosse necessitano di almeno 18-20°C. Oltre i 28°C lo zolfo può divenire fitotossico, in misura maggiore quanto più fini sono le particelle. Le elevate temperature inducono infatti un elevato passaggio allo stato di vapore Il grado di finezza delle particelle di zolfo nei diversi formulati ne influenza dunque l’efficacia. Gli zolfi per trattamenti liquidi, composti da particelle più fini, manifestano un’efficacia superiore dei formulati polverulenti, che richiedono dosaggi di impiego superiori.

Formulazioni commerciali. Lo zolfo è presente in commercio in diverse formulazioni raggruppabili in due distinti gruppi, a seconda siano utilizzabili per trattamenti polverulenti o liquidi.

Per i trattamenti polverulenti si possono impiegare gli zolfi sublimati, ottenuti dalla distillazione del minerale grezzo e formati da particelle di 5-14 micron, zolfi ventilati, ottenuti per macinazione del minerale grezzo e conteneti particelle di15-150 micron.

Per i trattamenti liquidi si impiegano gli zolfi baganabili , preparati dagli zolfi ventilati con aggiunta di apposite sostanze; zolfi micronizzati, ottenuti per macinazione di zolfi ventilati e sublimati; zolfi colloidali, prodotti con processi chimici, con zolfo allo stadio di colloide, quindi più fini dei micronizzati. Sono anche disponibili formullazioni liquide , flowable e sospensione concentrata, sempre per trattamenti liquidi

Modalità d’azione. Lo zolfo possiede una buona attività preventiva ed anche eradicante (soprattutto nelle formulazioni in polvere). In virtù della discreta capacità di penetrazione all’inerno della vegetazione e di una buona efficacia di azione, nelle fasi di maggiore pressione della malattia e/o in presenza di infezioni attive, sono consigliabili applicazioni di zolfo in polvere (25-35 kg). Gli zolfi bagnabili esercitano un’azione prevalentemente di tipo preventivo ed hanno una minor persistenza d’azione rispetto a quelli in polvere (5-7 giorni a seconda delle condizioni ambientali). A dosaggi elevati (sempre facendo riferimento a quanto riportato in etichetta) possono comunque rallentare o bloccare lo sviluppo del micelio.

Effetti dello zolfo su organismi non bersaglio. La tossicità nei confronti dei mammiferi è molto bassa; è poco tossico per i pesci e i rischi per flora e fauna selvatici sono lievi. Nei formulat commerciali deve essere riportata la dichiarazione di assenza di selenio, un metalloide chimicamente affine allo zolfo, tossico per l’uomo e gli animali. Realativamente all’entomofauna e ad altri invertebrati, lo zolfo è poco tossico per le api, mentre può risultare tossico per alcuni insetti utili, quali gli imenotteri parassiti del genere Trichogramma e manifestare una moderata tossicità per gli acari Fitoseidi Amblyseius potentillae e A. andersoni e per alcuni Miridi e Antocorid

Compatibilità con altri prodotti fitosanitari. I formulati commercili a base di zolfo possno creare problemi di compatibilità e/o fitotossicità quando vengano miscelati con alcuni prodotti fitosanitari. E’ consigliabile distanziare di almeno 21 giorni i trattamenti a base di zolfo da quelli a base di oli minerali e captano per prevenire rischi di fitotossicità. Sconsigliabile anche la miscela con antiparassitari a reazione alcalina.

Come sopra riportato, in condizioni di temperatura elevata (>30°C) tutti gli zolfi possono risultare fitotossici, in particolare se impiegati a dosi alte e a formulati molto fini. Durante l’estate è quindi preferibile trattare nelle ore più fresche della giornata.

La fitotossicità è anche legata alla sensebilità varietale. Nelle etichette sovente vengono specificate le varietà di melo, pero, vite ecc. suscettibili rischi di fitotossici. Occorre porre attenzione anche all’impiego dello zolfo su cucurbitacee.

ATTENZIONE: attenersi sempre scrupolosamente alle indicazioni riportate sulle etichette dei prodotti

Anno internazionale della salute delle piante 2020

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2020

Anno internazionale della salute delle piante” (IYPH)

Un tema su cui tutti (non solo agricoltori e addetti al settore) dovremo seriamente riflettere (e agire!)

http://www.fao.org/plant-health-2020/en/

Proteggere la salute delle piante, secondo la FAO, significa contribuire a lottare contro la povertà e la fame favorendo lo sviluppo economico, difendere l’ambiente e la biodiversità. Ci viene anche ricordato come i pericoli per il mondo verde non provengano solo da parassiti e insetti, ma anche dal cambiamento climatico.

Ticchiolatura della rosa

(Diplocarpon rosae )

La Ticchiolatura della rosa, causata dal fungo Diplocarpon rosae, è una malattia fungina piuttosto diffusa su questa specie.

Sintomi. Sulla pagina superiore delle foglie compaiono macchie di varie dimensioni, di colore da bruno-violetto a nero, con margini a raggiera. Le foglie colpite tendono a ingiallire e successivamente a cadere. In caso di varietà sensibili e di condizioni ambientali particolarmene favorevoli al patogeno, si può avere una forte defogliazione delle piante e cattiva lignificazione dei rami.

La precoce defogliazione induce l’emissione di nuove foglie, con conseguente indebolimento della pianta. Anche i rami possono essere colpiti dal fungo.

I sintomi possonoo essere evidenti già dalla primavera, soprattutto se la stagione decorre umida. Frequentemente la malattia ha una recrudescenza in autunno, con il ritorno di condizioni di temperatura e umidità più favorevoli al patogeno. In questo caso la Ticchiltura risulta meno dannosa, essendo ormai prossimo il riposo vegetativo delle piante.

Diplocarpon rosae appartenente agli Ascomiceti, funghi che, attraverso un processo di riproduzione sessuale, producono strutture a forma di sacco dette aschi ( dal greco = “sacco”, “otre”), contenenti spore dette ascospore.

Questo fungo, come molti altri, è anche capace di produrre spore senza l’intervetto della riproduzione sessuale (in questo caso più propriamente si parla di conidi).

Ciclo biologico del patogeno. Sulle foglie della rosa Diplocarpon può produrre due differenti tipi di fruttificazioni: gli acervuli e i picnidi. Gli acervuli sono strutture conteneti conidi di origine agamica (riproduzione asessuata), prodotti più volte all’anno nel corso delle diverse generazioni del fungo. I picnidi compaiono nella tarda estate e continuano a differenziarsi anche nel corso dell’inverno su i rametti e sulle foglie marcescenti cadute al suolo. In quest’ultima sede possono comparire, talvolta, gli apoteci, contenenti aschi e ascospore. Quest’ultime saranno rilasciate a primavera, avviando nuovi cicli infettivi assieme ai conidi prodotti nei picnidi. I conidi sono molto più efficiente nel diffondere le infezioni, mente la capacità infettante delle ascospore sarebbe molto più limitata.

Presupposti ambientali favorevoli alla malattia. I conidi per poter germinare e infettare le foglie devono rimanere bagnati, per cui non è sufficiente la semplice umidità atmosferica. Richiedono invece una vera e propria bagnatura fogliare (piogge o rugiare). Altro elemento importante è la temperature, che non deve essere eccessivamente alta (20-25°C).

Prevenzione e lotta alla Ticchilatura. Come prima cosa è necessario mettere in atto una serie di accorgimenti e tecniche colturali capaci di ostacolare lo sviluppo della malattia. La sensibilità alla Ticchiolatura può variare notevolmente nelle diverse varietà di rosa. Negli ambienti dove la malattia manifesti una forte diffusione, è bene informarsi sulla sensibilità a Diplocarpon delle varietà che si vuole coltivare. L’asportazione e la distruzione delle foglie infette cadute al suolo, al cui interno sverna il fungo, contribuiscono a contenere il poteziale d’inoculo. Si tenga presente che il fungo può sopravvirere anche sulle foglie infette che rimangono attaccate alla pianta. Le irrigazioni sopra chioma per aspersione (a pioggia) sono sicuramente da sconsigliare perchè, come si è detto sopra, la bagnatura fogliare favorirà l’avvio di nuove infezioni. L’intervento diretto contro il fungo, attraverso l’uso di fitofarmaci (fungicidi), deve essere attentamente valutato e impostato secondo criteri che tutelino la salute dell’operatore e limitino le ricadute negative ambientali. Per tale ragione si consiglia sempre di consultare tecnici qualificati. Qualora si ricorra all’impiego di fungicid si tenga presente che solitamente i migliori risultati si ottengono con un precoce avvio della difesa fungicida (comparsa dei primi sintomi della malattia in primavera). Per le ragioni sopra menzionate, solitamente non sono giustificabili trattamenti fungicii a fine stagione.

(le foto dell’articolo sono dell’autore)

La Popillia japonica: nuova minaccia per l’agricoltura.

La Popillia japonica (Coleoptera rutelidae) è un coleottero scarabeide  originario del Giappone,  attualmente  presente in diversi Paesi. 

Nel 2014 è stata segnalata in Italia  sul territorio lombardo (Area centro-settentrionale della valle del Ticino).

  Adulto P. japonica

Fonte: Wikipedia -USDA Animal and Plant Health Inspection Service, 'Managing the Japanese Beetle: A Homeowner's Handbook' 

Nel nostro ambiente compie una sola generazione all’anno. Gli adulti compaiono all’inizio di giugno e si nutrono a spese di diverse specie vegetali (oltre 300, tra le quali fruttiferi, vite e numerose ornamentali).

Successivamente all’accoppiamento le femmine ovodepongono nel cotico erboso di prati di graminacee, in gallerie profonde 5-10 cm. Le larve si nutrono a spese degli apparati radicali. Quado la temperatura raggiunge i 10°C interrompono l’attività per svernare.  Le larve riprendono l’attività tofica in primavera, per poi trasformarsi in pupe. Gli adulti emergono da metà maggio (zone calde) a giugno-luglio (zone più fredde).

Larva P. Japonica

Fonte: Wikipedia - USDA Animal and Plant Health Inspection Service, 'Managing the Japanese Beetle: A Homeowner's Handbook' 

Per la sua potenziale dannosità è considerata dalla legislazione fitosanitaria  un organismo nocivo da quarantena riportato nella Direttiva 2000/29 CE e nelle liste di allerta del European and Mediterranean Plant Protection Organization (EPPO).

Con il Decreto Ministeriale 17 marzo 2016 si sono definite le misure d’emergenza per contenere la diffusione di Popilia Japonica sul territorio nazionale. Sono state disposte anche indagini per monitorarne la diffusione sul territorio nazionale.

 

Per approfonimenti sulla biologia dell’insetto, ciclo biologico e altri aspetti è possibile consultare il sito dell’ERSA- Regione Lombardia:

https://www.ersaf.lombardia.it/it/servizio-fitosanitario/organismi-nocivi/insetti-1544624942/pagina-popillia

Per la buna riuscita del contenmento della diffusione dell’insetto è quanto mai necessaria la collaborazione di tutti. Qualora si rilevasse la presenza dell’nsetto è necessario informare tempestivamente il Servizio Fitosanitario della Regione.

Fonte: www.ersaf.lombardia.it 

 

Lotta alla cicalina della Flavescenza dorata – anno 2019

Articolo in Evidenza

Anche nel corso del 2019 è fondamentale attenersi alle indicazioni fornite dai tecnici per il controllo dello Scafoideo (Scaphoideus titanus), la cicalina vettore del fitoplasma della Flavescenza dorata su vite.

Per la Regione Emilia – Romagna si allegano le indicazioni fornite dal Servizio Fitosanitario della Regione nel link seguente:

https://www.fitosanitario.mo.it/files/1015/5921/0108/Lotta_obbligatoria_scafoideo_2019.pdf

Per le altre Regioni si rinvia alle indicazioni delle autorità fitosanitarie locali.

Eriofide vescicoloso del pero (Eriophyes pyri)

La famiglia degli Eriophydae  comprende acari di piccolissime dimensioni (0.1 – 0.3 mm), di aspetto allungato-conico o vermiforme, muniti di due sole paia di zampe. A secondo della specie durante il ciclo annuale si possono avere due tipi di femmine: le protogine, che compaiono nel periodo primaverile-estivo, e le deutogine, che si differenziano nel periodo autunnale e sono destinate allo svernamento.

Per lo più gli Eriofidi vivono su piante arboree e superano l’inverno all’interno delle gemme.

I danni che possono arrecare sono essenzialmente di due tipi:

  • Alterazioni cromatiche sulle foglie e talvolta sui frutti. Quest’ultimo caso è tipico, ad esempio,  degli Eriofidi che causano la “ruggionosità” sui frutti del pero (Epitrimerus pyri);
  • Deformazioni specifiche che possono essere:

– a carico delle foglie (galle), come nel caso dell’Erinosi della vite (Eriophyes vitis – vedi post precedente) o dell’Eriofide vescicoloso del pero (Eriophyes pyri);

-a carico delle gemme o germogli, come nel caso dell’Eriofide delle gemme del nocciolo (Phytoptus avellanae).

In questo post ci si soffermerà sull’Eriofide vescicoloso del pero. Questo acaro è meno conosciuto dell’Eriofide ruggionoso (Epitrimerus pyri) e solitamente viene ritenuto meno dannoso.

L’adulto sverna all’interno delle gemme, tra le perule, riprendendo l’attività alla ripresa vegetativa. Le sue punture provocano piccole bollosità sulle foglie di forma allungata, visibili soprattutto sulla pagina superiore, in un primo momento di colore verde chiaro per poi assumere una colorazione rossastra e imbrunire per il disseccamento dei tessuti. In corrispondenza di queste bollosità nella pagina inferiore si ha  uno sviluppo ipertofico di peli fra i quali si annidano gli Eriofidi. Le foglie assumono una consistenza rigida e possono lacerasi.

In caso di forti infestazioni precoci possono essere attaccati anche i fiori e i frutticini, con possibilità di cascola.

In un anno l’eriofide vescicoloso può compiere 2-4 generazioni, a seconda dell’andamento climatico.

In caso di forti attacchi nella precedente annata è possibile utilizzare olio bianco in formulazione con zolfo, impiegandolo non oltre la fase di “gemma gonfia”.  Durante la fase vegetativa, se occorre intervenire, si possono utilizzare formulati insetticidi-acaricidi a base di Abamectina o Fenpyroximate. Come per altri Eriofidi è possibile impiegare anche lo zolfo, adottando le dovute cautele (Rischio di fitotossicità).

[Per la lotta all’Eriofide si è fatto riferimento a quanto riportato nei Disciplinari di produzione integrata della Regione Emilia-Romagna – anno 2019]

L’Erinosi della vite

Nelle foto foglie di vite affette da Erinosi. Largamente diffuso in tutte le aree viticole, l’acaro eriofide Colomerus (= Eriophyes) vitis provoca la formazione di queste caratteristiche bollosità sulle foglie in via di sviluppo. In corrispondenza di queste bollosità nella pagina inferiore si notano delle masse feltrose causate da uno sviluppo ipertrofico dei peli fogliari. Iinizialmente bianche, diventano poi rossastre in seguito al disseccamento dei peli.

I sintomi possono manifestarsi già dalla ripresa vegetativa, a carico delle foglie basali dei giovani tralci. In seguito – fine maggio – gli acari iniziano a migrare verso gli apici dei tralci, alla ricerca di foglie giovani.  In estate   è quindi possibile ritrovare le caratteristiche bollosità negli   apici dei  germogli.  Con il finire dell’estate si ha una migrazione in senso opposto, verso la base del tralcio, per raggiungere i luoghi di svernamento (anfratti della corteccia e perule delle gemme).

Gli attacchi ai grappoli, piuttosto rari, possono causare aborti fiorali

Solitamente le infestazioni non assumono mai una  una rilevanza tale da richiedere specifici interventi, essendol’acaro controllato dai trattamenti con zolfo realizzati nei confronti dell’Oidio.  Negli ultimi anni si è  tuttavia rilevato un aumento di attacchi nel periodo estivo, probabilmente dovuto ad un incremento delle popolazioni resistenti allo zolfo o alla sostituzione di questo prodotto con antioidici di sintesi.

Il controllo naturale di Colomerus vitis è predato da Acari Fitoseidi e Stigmeidi, quest’ultimi attivi soprattutto a fine inverno e primavera. Nel periodo estivo  possono svolgere una funzione di contenimento Antocoridi e Tisanotteri

Gestire la resistenza ai fitofarmaci

In questo articolo che ho pubblicato su rivistadiagraria.org si parla di come gestire la resistenza ai fitofarmaci.

Buona lettura!

Il quaderno di campagna

Il decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012 prevede la compilazione del “registro dei trattamenti”noto anche come “quaderno di campagna”.
 
 
La tenuta del Registro dei trattamenti è un obbligo per tutti gli agricoltori che vendono o cedono le loro produzioni a terzi, mentre ne sono esentati  coloro  che utilizzano i prodotti fitosanitari in orti o giardini familiari il cui prodotto è destinato all’autoconsumo.
 
 

Secondo l’art.16 del D.Lg. n.150/2012 :

“per registro dei trattamenti si intende un modulo aziendale che riporti cronologicamente l’elenco dei trattamenti eseguiti sulle diverse colture, oppure, in alternativa, una serie di moduli distinti, relativi ciascuno ad una singola coltura
agraria.”
 
 
Su di esso vanno annotati tutti i trattamenti fitosanitari entro la raccolta e comunque non più tardi di 30 giorni dalla esecuzione del trattamento stesso.
 
 
Il Registro va conservato per almeno i 3 anni successivi a quello cui si riferiscono i trattamenti.
 
Sempre secondo l’art.16 del D.Lg. n.150/2012 :
Il registro dei trattamenti riporta:
a) i dati anagrafici relativi all’azienda;
b) la denominazione della coltura trattata e la relativa estensione espressa in ettari;
c) la data del trattamento, il prodotto e la relativaquantità impiegata, espressa in  chilogrammi o litri, nonché l’avversità che ha reso necessario il trattamento.
 
Il Quaderno di campagna deve essere compilanto anche quando:
– I trattamenti vengono eseguiti per la difesa di  derrate immagazzinate
– Per trattamenti in ambito extra-agricolo (es. verde pubblico).
 
“può essere compilato e sottoscritto anche da persona diversa, qualora l’utilizzatore dei prodotti fitosanitari non coincida con il titolare dell’azienda e nemmeno con l’acquirente dei prodotti stessi. In questo caso dovrà essere presente in azienda, unitamente al registro dei trattamenti, relativa delega scritta da parte del titolare.”
 
Qualora i trattamenti siano effettuati dal contoterzista:
il registro dei trattamenti deve essere compilato dal titolare dell’azienda allegando l’apposito modulo rilasciato dal contoterzista per ogni singolo trattamento. In alternativa il contoterzista potrà annotare i singoli trattamenti direttamente sul registro dell’azienda controfirmando ogni intervento  fitosanitario effettuato.”
 
Nel caso di cooperative di produttori che acquistano prodotti fitosanitari con i quali effettuano trattamenti per conto dei loro soci il registro dei trattamenti può essere conservato presso la sede sociale dell’associazione e deve essere compilato e sottoscritto dal legale rappresentante previa delega rilasciatagli dai soci.”
 
Le sanzioni che derivano dalla mancata tenuta del Registro dei trattamenti sono riportate nell’art.24 comma 13 del D.Lg. n.150/2012:
 
” Salvo che il fatto costituisca reato, l’acquirentee l’utilizzatore che non adempia agli obblighi di tenuta del registro dei trattamenti stabilito dall’articolo 16,comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 500 euro a 1.500 euro. In caso di reiterazione della violazione è disposta la sospensione da uno a sei mesi o la revocadell’autorizzazione.”

Sei

Emergenze fitosanitarie: come è cambiata e come potrebbe ancora evolvere la difesa delle colture

Dal Punteruolo rosso delle palme alla Xilella dell’olivo, anche la stampa da alcuni anni porta all’attenzione del grande pubblico alcune delle  più diffuse emergenze fitosanitarie.

Oltre che dai comuni patogeni,  minacce alle colture possono derivare anche da insetti e patogeni locali favoriti dalle mutate condizioni climatiche  o da nuove tecniche agronomiche.


Nell’immagine: Fillossera della vite (Viteus vitifoliae ).  Originaria del Nord America, questo insetto parassita della vite fu segnalato in Francia nel 1863. In pochi anni  si diffuse rapidamente nel Vecchio Continente provocando ingenti danni alla viticoltura e all’enologia. Grazie a una intuizione del Prof. Planchoin di Montpellier a partire dal 1880 si iniziò a innestare le viti europee su viti di origine americana, le cui radici sono capaci di resistere all’attacco dell’insetto. Fu così possibile arrestarne la devastante diffusione dell’insetto.  L’arrivo in Europa della Fillossera è molto probabilmente da imputare all’intoduzione in Europa dal Nord America di barbatelle infestate.

Immagine tratta da: L. Zerbini ( 1937) La fillossera e la ricostruzione viticola nel bolognese.


Parliamo di emergenza fitosanitaria quando un patogeno – includendo in questo termine funghi, batteri, virus, insetti, piante infestanti e altri organismi dannosi per le piante – si sviluppa in forma epidemica causando gravi danni a piante coltivate e ornamentali. Queste emergenze possono interessare un singolo Paese o arrivare a coinvolgere un continente.

Bisogna innanzitutto specificare che le emergenze fitosanitarie non sono una peculiarità dei nostri tempi, anche se solo in tempi a noi più vicini nuovi fattori sono intervenuti   nella dinamica del fenomeno.

L’introduzione involontaria di una specie aliena in un Paese è a tutt’oggi una delle cause principali dello sviluppo delle emergenze fitosanitarie.  Con il termine “specie aliena” deve intendersi una specie “estranea, forestiera” (dal latino alienus = altrui, appartenente ad altri, straniero). Se le condizioni ambientali consentono all’intruso  la colonizzazione  del nuovo territorio, frequentemente si può avere uno sviluppo incontrollato del nuovo arrivato, non contrastato dai sui antagonisti (parassiti e predatori), talvolta assecondato anche dalle favorevoli condizioni ambientali (disponibilità di cibo, condizioni climatiche idonee ecc.). In alcuni situazioni la specie aliena, se particolarmente avvantaggiata dal nuovo habitat, può prendere il sopravvento sulle specie autoctone affini.

La  globalizzazione, con il conseguente intensificarsi degli scambi commerciali tra Paesi anche molti lontani, ha ridotto distanze geografiche  e i tempi di spostamento delle merci, con prevedibili vantaggi per le specie dannose che viaggiano “clandestinamente” con esse. Anche gli spostamenti di persone – ad esempio attraverso l’attività turistica – possono contribuire a favorire la diffusione di specie indesiderate.

Numerose specie hanno saputo approfittare dei traffici commerciali per diffondersi oltre il loro areale d’origine molto prima dello sviluppo della globalizzazione.
Dalla zona andina del Sud America la Peronospora della Patata (Phytophtora infestans) giunse in Europa a metà del XIX secolo, verosimilmente attraverso tuberi infetti, sicuramente agevolata dalla navigazione a vapore che accorciava le distanze tra Nuovo e Vecchio Mondo.
In tempi a noi più vicini arrivano nei nostri campi, sempre dal oltre atlantico, la Dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata) e la Piralide del mais ( Ostrinia nubilalis ), fino alle più recenti emergenze quali la Batteriosi del Kiwi (Pseudomonas syringae pv actinidiae), il Colpo di fuoco batterico delle pomacee (Erwinia amylovora), la Diabrotica (Diabrotica virgifera virgifera), la Vespa cinese del castagno (Dryocosmus kuriphilus), la Cimice asiatica (Halyomorpha halys) ecc.

Ovviamente il rischio dell’introduzione di specie aliene non interessa unicamente il nostro continente.  La Lymantria (Lymantria dispar) è un lepidottero che allo stadio larvale si ciba delle foglie di diverse essenze arboree (es. pioppi, querce, aceri, vite, pomacee, drupacee) . Introdotta accidentalmente nel Nord America sta provocando seri danni a boschi e colture. La Vespa del legno (Sirex gigas) nei nostri ambienti solitamente è contenuta in modo efficace da diversi parassiti, cosa che purtroppo non è avvenuto nei Paesi in cui si è diffusa, dove questo imenottero si è reso responsabile di gravi danni ai boschi di conifere.

E’ a partire dagli anni ’60 del secolo scorso che è progressivamente aumentato il fenomeno dell’introduzione nel nostro Paese di specie aliene. Da studi che fanno riferimento al periodo 1945 – 2004 si evince che le specie esotiche introdotte nel nostro Paese provengono prevalentemente dall’America (37%) ed all’Asia (29%). Il 63% di questi invasor appartengano al raggruppamento degli Emitteri (es. Cimice asiatica ). Seguono i Coletteri con il 12% (es. Dorifora della patata, e Diabrotica) e  Ditteri (7%; es. Mosca del noce). Chiudono la classifica i Lepidotteri, Tisanotteri e acari, ciascuno con un 6%.

Per quanto detto sino a questo punto si potrebbe essere portati a credere che questi nuovi arrivati abbiano sempre e comunque altissime probabilità di colonizzare con successo i nuovi ambienti. In realtà non tutte hanno buone possibilità di affermarsi, anzi. Molte sono destinate a soccombere perché incapaci di colonizzare il nuovo habitat (condizioni climatico/ambientali avverse, mancanza di piante che possano offrire cibo e/o riparo ecc.). Qualcuno ha provato a quantificare quale sia la probabilità di successo dei nuovi arrivati nel colonizzare il nuovo ambiente.  Williamson (1996) ha elaborato la così detta Regola empirica del 10% (Ten percent rule) che può essere così sintetizzata: su 100 specie aliene introdotte solo 10 si insediano stabilmente e di queste solo 1 diviene effettivamente invasiva. Anche se si tratta di una regola empirica  che ammette diverse eccezioni e che suscita diverse critiche, essa ci dice anche un’alta cosa importante. Anche se il numero di specie invasive  sembra essere rilevante, dobbiamo pensare che probabilmente risultano di gran lunga  maggiore il numero di specie importate che conducono un’esistenza più discreta, senza avere all’apparenza alcun impatto sull’ambiente e le attività economiche dell’uomo.

Il cambiamento climatico è destinato a influenzare profondamente il nostro futuro e le attività economiche, e tra queste principalmente l’agricoltura. Diversi studiosi hanno cercato di capire quale potrebbe essere l’impatto di questo cambiamento  nello svilupo delle malattie delle piante e nelle infestazioni degli insetti fitofagi.
Relativamente alle specie aliene il mutare del clima può sortire principalmente due tipi di conseguenze:
favorire l’insediamento di specie esotiche nei nostri ambienti;
creare condizioni favorevoli/sfavorevoli allo sviluppo di patogeni o insetti originari dei nostri ambienti.
La Mosca della frutta  (Ceratitis capitata) è una specie storicamente presente nel Sud Itali ove allo stato larvale danneggi i frutti di diverse specie. Fino a non molti anni addietro la sua presenza al Nord era sporadica e la si riteneva incapace di sopravvivere ai rigori invernali.  L’aumento delle temperature minime invernali potrebbe aumentare le probabilità di sopravvivenza di questo insetto, favorendo l’espansione del suo areale verso Nord.
Anche le specie autoctone potrebbero però essere favorite da condizioni ambientali modificate (inverni più miti, estati torride più frequenti ecc.). Al pari dell’esempio precedente si avrebbe una minore mortalità invernale delle forme svernanti, anticipata comparsa di infestazioni, possibile aumento dei cicli riproduttivi ecc.

Il cambiamento delle tecniche agronomiche (lavorazioni del terreno, successioni colturali, scelta delle varietà ecc.) possono modificare le condizioni colturali favorendo lo sviluppo di patogeni e insetti.

Nei cereali a paglia il sempre più frequente ricorso alla monosuccessione o ristoppio (successione della coltura a sé stessa) aumenta i rischi di attacco di funghi responsabili del complesso noto come Mal del piede dei cereali.
Altri patogeni dei cereali già presenti nei nostri ambienti e che in anni recenti hanno causato danni di danni di notevole rilevanza economica sono la Septoriosi del frumento (Septoria tritici e Stagonospora nodorum) e la Fusariosi della spiga. Quest’ultima è dovuta a funghi appartenenti a diverse specie (in particole si citano Fusarium graminearum, F. avenaceum, F. culmorum, F. poae e Microdochium nivalis) capaci di colonizzare le spighe del frumento tenero e duro e di altri cereali a paglia nella fase di fioritura. La loro azione dannosa si esplica soprattutto attraverso la contaminazione delle cariossidi con micotossine, metaboliti fungini secondari capaci di svolgere azioni tossiche su l’uomo e gli animali.
La contaminazione della granella con micotossine è divenuta particolarmente importante anche sul mais dove la spiga può essere contaminata da funghi produttori di micotossine appartenenti principalmente ai generi Aspergillus spp.,e   Fusarium spp.

Angelo Sarti

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