Attraversando le nostre campagne si può osservare, sia pure con sempre minor frequenza, come la monotona successione degli appezzamenti coltivati sia interrotta da filari di alberi, addossati ai quali viene coltivata la vite. I campi non sono separati longitudinalmente tra loro da semplici fossi, ma da una striscia di terreno di larghezza variabile – generalmente dai 4 ai 6 metri –   su cui sono vengono coltivati alberi che fungono da sostegno a piante di vite. Tra un albero e il successivo sono ordinatamente tesi  fili metallici su cui vengono distesi i tralci delle viti a formare delle vere e proprie pergole. Questa consociazione albero – vite costituisce la piantata, una  struttura vegetale caratteristica della pianura bolognese, e non solo.  In molti paesaggi agrari italiani è possibile ritrovare la consociazione albero – vite a formare quelle che genericamente vengono chiamate alberate. Naturalmente, a secondo dei luoghi queste assumono forme e nomi diversi. Ancora oggi, utilizzando un vecchio termine contadino, si parla di “vite maritata” a indicare l’uso di abbinare alla vite l’albero quale tutore. Questa espressione probabilmente nasce dalla antica simbologia che vede peculiarmente nella vite un elemento femminile, mentre l’albero simboleggia il maschile.

Alberata nella campagna bolognese (Argelato)
Foto Angelo Sarti

 

La piantata è presente  nelle nostre campagne fin dal XIV secolo, e assume quelle caratteristiche che ritroviamo ancora oggi a partire dal  1500. Ma l’uso di maritare l’albero alla vite è piuttosto antico e trova la sua origine nel mondo rurale etrusco. Gli agronomi latini – Catone, Columella, Plinio e altri –  indicano come arbustum gallicum la  pratica di coltivare la vite utilizzando quali sostegni o tutori  gli alberi. Il termine arbustum gallicum non farebbe diretto riferimento al popolo dei Galli, ma alla Gallia Cisalpina. Ciò che lascerebbero intendere gli autori latini è che  questa  consuetudine sarebbe stata ideata dalle antiche popolazioni  della Valle Padana. Da esse  gli Etruschi l’avrebbero semplicemente mutuata, diffondendola in molte altre regioni.

Gli alberi principalmente utilizzati nelle piantate erano l’Olmo e l’Acero campestre, quest’ultimo chiamato dai contadini Opi. Il legno  di queste piante forniva materiale da ardere o da utilizzare nella costruzione degli attrezzi agricoli (Olmo soprattutto). Le foglie dell’Olmo  potevano essere  utilizzate come foraggio fresco per il bestiame.

Ma la piantata costituiva anche un ambiente naturale  di particolare interesse, potendo ospitare diverse specie di uccelli: averle, rapaci notturni (civetta, assiolo, allocco e gufo), merli, cinciallegre, usignoli, fringuelli,  ecc. Per contenerne lo sviluppo vegetativo gli alberi erano sottoposti a drastiche potature, effettuando tagli a carico delle branche principali (capitozzature). In corrispondenza di questi grossi tagli , a seguito di attacchi fungini, il legno si “cariava”, ossia marciva, formando ampie cavità. Queste offrivano un riparo per la nidificazione di numerose specie di uccelli, tra cui codirosso, cinciallegra, upupa, pigliamosche ecc.

A partire dalla seconda metà del secolo scorso la superficie a piantata ha iniziato progressivamente a contrarsi per diverse ragioni; la specializzazione dell’agricoltura, gli elevati costi di gestione, nuove esigenze legate a una spinta meccanizzazione delle operazioni colturali. Tutto ciò ha fatto si che molte piantate siano state abbattute o relegate al ruolo di  “coltura relitto”. La scomparsa non significa semplicemente la perdita di un pezzo di memoria storica, ma anche il venir meno di un importante habitat per le specie di uccelli che vi vivevano. Alcune di queste sono riuscite, non senza difficoltà, ad adattarsi a vivere nei frutteti, ma altre sono state pesantemente penalizzate dalla scomparsa di questo importante sito di nidificazione. Molte di queste specie, essendo insettivore, contribuivano al contenimento delle popolazioni di insetti nocivi all’attività agricola.  In alcuni ambienti gli agricoltori hanno  introdotto nei propri frutteti dei nidi artificiali favorendo il ritorno degli uccelli insettivori. Una antica alleanza spezzata è stata così ricomposta.

Oggi disponiamo di strumenti legislativi in grado di proteggere, vincolandoli, alberi monumentali o di interesse scientifico, anche se appartenenti a privati. Sarebbe auspicabile che tali provvedimenti potessero essere estesi anche alle piantate. Ne vade la salvezza di una importante parte del nostro comune  passato e futuro.

Angelo Sarti